Situato lungo la Via Sonnino, nei pressi dell’antico giardino di San Lucifero, il Sacrario dei Caduti fa parte di un complesso di opere realizzate durante la gestione podestarile di Enrico Endrich (1928-1934), destinate al miglioramento ed alla valorizzazione di alcune zone della città. L’inaugurazione ha luogo nel 1935. L’opera, degna di essere annoverata tra le più originali ed interessanti nel suo genere, è concepita da Ubaldo Badas, secondo i moduli stilistici del “moderno” razionalismo italiano che egli interpreta in chiave personale.

 

L'ingresso del sacrario è monumentale, costituito da due alte pareti longitudinali sormontate da scuri littorie. Qui, scolpite a vivide lettere, riecheggiano le date, i luoghi e le battaglie che resero famosi i militi sardi nella prima guerra mondiale. Attraverso una cancellata che chiude idealmente il primo corpo della costruzione dedicato alle pagine della storia, si entra nello spazio sacro destinato alla “memoria degli eroi”, proposto da Badas come una chiara rivisitazione del tempio cristiano riassunto nell’essenzialità delle sue strutture e funzionale al rinnovato culto laico dei caduti. Una metaforica “navata”, sopraelevata da alcuni gradini ed originariamente costeggiata da una teoria di aste per gagliardetti di combattimento, conduce direttamente all'esedra-abside, che racchiude al suo interno la cappella votiva dominata da una croce bronzea sull’altare. Le pareti recano incisi i nomi dei quattrocento caduti cagliaritani tra cui primeggiano le due medaglie d'oro, Alberto Riva Villasanta e Attilio Mereu. Su tutti sovrasta la scritta PRESENTE che "esprime il concetto della vita che non muore". La scelta del materiale lapidico è fondamentale per imprimere al monumento una percettibile connotazione locale: da notare i contrasti cromatici sui portali d’ingresso dovuti all’accostamento del granito sardo con la pietra grigia di Serrenti ed il travertino romano, oppure l’ampio uso del calcare cristallino di Bonaria nel corpo centrale del sacrario. La trachite rossa di Banari (SS) ed il calcare bianco, impiegati nell’esedra, riproducono visibilmente non solo i colori delle mostrine della storica “Brigata Sassari”, ma evocano la bicromia delle chiese romanico pisane che caratterizzano così felicemente il panorama isolano.